Nigeria, i musicisti lanciano il ‘No Music Day’

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I musicisti nigeriani si sono uniti per lanciare una giornata senza musica, che tutte le emittenti radiofoniche della Nigeria dovranno rispettare. E’ l’obiettivo della Coalizione dell’industria musicale del Paese africano, preoccupata per il mancato pagamento dei diritti d’autore. La settimana scorsa, il gruppo ha organizzato uno sciopero della fame dei musicisti – ancora in corso – soprattutto a Lagos, a causa delle perdite dovute alla pirateria. Cd masterizzati illegalmente degli album più popolari sono facilmente disponibili sulle strade della capitale, a un prezzo molto più basso rispetto a quello degli originali.

Nigaz, il nome ‘razzista’ dell’azienda russo-nigeriana

YAR'ADUA - MEDVEDEV

La scorsa settimana, in occasione della visita in Nigeria del Presidente Dimitri Medvedev, il colosso russo del gas Gazprom ha siglato un accordo da 2,5 miliardi di dollari con la società di Stato nigeriana Nnpc (Nigerian National Petroleum Corporation).

La nuova azienda costruirà in Nigeria raffinerie, oleodotti e centrali del gas, ma la società ha fatto un errore grossolano, perché ha scelto di chiamarsi ‘Nigaz’, risultando offensivo per i neri. Nello slang americano, infatti, “niggaz” è il plurale di “nigga” (nigger)!

A denunciarlo sono stati i blogger su twitter, scatenando un acceso dibattito sulle rete, oggi riportato dal quotidiano nigeriano This Day.

Shell alla sbarra per l’uccisione di Ken Saro-Wiwa

Quattordici anni dopo la morte dello scrittore e attivista Ken Saro-Wiwa, il colosso petrolifero Shell comparirà domani davanti a una corte di giustizia di New York per rispondere dell’accusa di complicità con il regime militare nigeriano del Presidente Sani Abacha, che nel 1995 lo condannò a morte.

Ken Saro-Wiwa e altri otto attivisti vennero impiccati il 10 novembre 1995 al termine di un processo farsa.

Fondatore del Movimento per la sopravvivenza del popolo Ogoni (MOSOP), Saro-Wiwa si batteva da anni contro i danni ambientali causati dalle attività petrolifere della Shell nella regione dell’Ogoniland, nel sud della Nigeria, e contro la miseria e l’arretratezza a cui il governo nigeriano condannava il suo popolo. Lo scrittore era riuscito a mobilitare migliaia di persone, a bloccare la produzione di greggio della Shell e a minare il sistema di corruzione e autoritarismo su cui si reggeva il regime di Abacha.

Per il figlio dell’attivista, Ken Saro-Wiwa Junior, l’avvio del processo segna una prima vittoria della lotta della padre, portata avanti in tutti questi anni.

Shell ha sempre respinto tutte le accuse, affermando di non aver mai in alcun modo incoraggiato nè sostenuto alcun atto di violenza contro gli attivisti della gente Ogoni, ma di aver anzi cercato di persuadere il governo a essere clemente.

Saro-Wiwa Junior sostiene, invece, che ci sono le loro impronte digitali su tutti i casi di tortura, uccisione ed esecuzioni extra-giudiziari della gente Ogoni tra il 1993 e il 1996, e che garantivano sostegno logistico ai soldati coinvolti in questi abusi contro gli Ogoni.

La Shell, in ogni caso, non ha potuto più operare in Ogoniland dal giorno della morte di Saro-Wiwa e oggi sarà chiamata a rispondere anche di complicità nella tortura, nella detenzione e nell’esilio del fratello dell’attivista, Owens Wiwa.

I militanti Ogoni sono riusciti a portare in aula una causa vecchia 14 anni in virtù di una legge che consente di perseguire un’azienda anche per crimini commessi all’estero. E i querelanti auspicano che la causa rappresenti anche un monito alle aziende che operano oggi nel Paese.

Anche se vecchia di 14 anni, infatti, la vicenda è ancora di forte attualità in Nigeria, dove i militanti non-violenti del MOSOP di Saro-Wiwa, che praticavano la disobbedienza civile, sono stati rimpiazzati dai militanti del Movimento per l’emancipazione del Delta del Niger (MEND), che ricorrono a sequestri, boicottaggi e scontri armati per perseguire gli stessi obiettivi.

Secondo il MEND, la disobbedienza civile non funziona, ha solo portato attacchi da parte dell’esercito nigeriano contro la popolazione, villaggi rasi al suolo, l’uccisione di un numero imprecisato di giovani e lo stupro delle donne. Per questo ha deciso di adottare la lotta armata.

Sebbene la Nigeria sia uno dei principali produttori di petrolio, la maggioranza della popolazione nigeriana vive ancora oggi in condizioni di estrema povertà a causa della corruzione e dell’incapacità della classe di governo. Si stima che dal giorno dell’indipendenza, nel 1960, la corruzione sia costata alla Nigeria oltre 380 miliardi di dollari.

Da parte sua, l’industria petrolifera ha causato gravi danni ambientali alla regione meridionale del Paese. “Nessuno nega alla Shell il diritto di produrre idrocarburi – sottolinea Saro-Wiwa Junior – ma bisogna farlo rispettando l’ambiente e i diritti umani”.

Nigeria, la “fabbrica dei bambini”

Scoperta in Nigeria la “fabbrica dei bambini”

“Violentate e costrette a vendere i neonati”

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Clinica degli orrori. I bambini venivano fatti nascere per essere venduti. Secondo l’Unicef il mercato è di almeno dieci minori al giorno. Le donne, rese schiave, subivano violenze e dovevano cedere i bambini
I vicini si erano insospettiti per il silenzio che regnava durante il giorno nella clinica per la maternità di Enugu, nell’est del Paese. Un edificio di due piani dove tutto taceva alla luce del sole, ma che entrava in piena attività di notte. Fino a quando la polizia non ha fatto irruzione, scoprendo che si trattava di una struttura dove venivano rinchiuse giovani donne, ne sono state liberate 20, e venivano dati alla luce bambini da mettere in vendita. Per le organizzazioni locali che si battono contro il traffico di essere umani, la pratica non è rara in Nigeria, il Paese che conta il più alto numero di abitanti del continente africano, pari a 140 milioni. Stando alla ricostruzione fornita dalle organizzazioni di quella che è stata definita la più vasta operazione di polizia contro una rete di trafficanti di bambini, il medico responsabile della clinica di Enugu attirava giovani donne che portavano avanti gravidanze non desiderate, proponendo loro di aiutarle ad abortire. Le adolescenti venivano invece rinchiuse fino al giorno del parto, quindi costrette a separarsi dal proprio bambino in cambio di circa 20.000 naira (135 euro).

I bambini venivano poi venduti, generalmente a nigeriani, per una cifra che oscilla tra i 300.000 e i 450.000 naira (2.000-3.000 euro). «Appena entrata, mi hanno fatto un’iniezione e sono svenuta – ha raccontato alla France presse una delle 20 donne liberate – quando ho ripreso conoscenza, mi sono resa conto che era stata violentata». La ragazza, 18 anni, è stata quindi rinchiusa con altre 19 donne. Il medico l’ha violentata di nuovo il giorno dopo, una settimana prima dell’intervento della polizia. Non esistono dati precisi sulle «fabbriche dei bambini», come sono state ribattezzate dalla stampa nazionale, e sul numero di neonati destinati ogni anno alla vendita, ma secondo gli attivisti si tratta di un’attività molto diffusa, gestita da organizzazioni molto strutturate. «Pensiamo siano più grandi di quanto sappiamo», dice Ijeoma Okoronkwo, direttore regionale dell’Agenzia nazionale per il bando del traffico di esseri umani. Le strutture simili alla clinica di Enugu scoperte finora nel Paese sono almeno una decina. «Tutto questo esiste da tempo, ma noi ne siamo al corrente solo dal dicembre 2006, quando un’ong ha lanciato l’allarme e ci ha segnalato che i bambini venivano venduti e che vi erano coinvolti gli ospedali», ha aggiunto. In alcuni casi, giovani donne molto povere ricorrono di propria volontà a questa pratica per avere denaro. Nella clinica di Enugu, «abbiamo trovato quattro donne che erano lì da tre anni, per fare figli», ha detto il responsabile locale per la sicurezza, Desmond Agu. Secondo la polizia, il medico «invitava» giovani uomini «per ingravidare le ragazze».
 

In alcuni casi, i bambini vengono dati alla luce per avere più manodopera o farli prostituire. Nella società nigeriana la sterilità di una donna sposata è un fardello. «Nella società Igbo (etnia del sud-est), il prezzo da pagare quando non si hanno bambini è alto», evidenzia Peter Egbigbo, psicologo clinico, ma la gente «è pronta a pagare non importa quale somma per un bambino», di cui poi nascondono a tutti l’origine. «Molta gente non sa neppure che quel che fa è contro la legge – sottolinea Okoronkwo, dell’agenzia nazionale – credono si tratti di una adozione». Secondo l’Unicef, sono almeno dieci i bambini che vengono venduti ogni giorno in Nigeria.